Periodico online di letteratura contemporanea

mercoledì 27 ottobre 2010

Una pistola a fumo

Un esordio, il mio, poco ortodosso, ma i miei racconti sono, come dire, un po' fuori le righe, questo è nato durante una notte insonne, una tra le tante e da una lunga chiaccherata con quella che sarebbe diventata la protagonista di Una pistola a fumo, la mia eroina Mozzafiato.
 E' racconto che potrei definire demenzialfuturista, il cui scopo era la creazione di un nuovo slang, un linguaggio post atomico, da the day after, per intenderci.

Una pistola a fumo (prologo in mezzo)


Era il diaciannovesimo angolo che slittava, prima di ricadere sul monitor della sveglia, arruffata, in posizione trasversale al letto.
A ripensarci, occorreva mettere una crocetta al calendario, erano anni che la scadenza della sera coincideva con la messa a punto della sua carrozzeria. Ne andava fiera. Per praticità l'aveva suddivisa in quattro parti, altrimenti definiti 
arti nella preistoria, per facilitare la manutenzione sensoriale.
La parte anteriore destra riluceva d' una patina di santità, l'aveva comprata nel Terzo Ripostiglio, dove c'è lo spaccio delle essenze subliminali e delle carestie interstiziali, per pochi grumi di energia. La sinistra aveva un inanellamento lineare con funzione psicopedagogica, equivalente alla
 stronzaggine (termine ancora in uso nei quartieri stream), ma solo nelle rotonde, prima di imboccare l'autostrada. Lo scappellamento a volte era in calibratura standard, ma lei lo preferiva in frequentazione modulare.
Le parti posteriori seguono andature all'occorrenza e come le motrici hanno rifrazioni solari che riflettono passanti con successo.
In quel momento squillò il frequenziometro verbale ad alta velocità, seguito da un soffio gelido di squame di pescecane (l'ultimo ritrovato satellitar, il multiaroma): era Al, a volte detto anche Il, in diversa stagionatura perimetrale. Ci fu uno scontro di carrozzeria, come un trancio di vecchia pescheria in un giorno di mazza gravitazionale. Lui era il premio al pugno in faccia secel'avevi ancora, e lei si stava appena ricaricando, dopo una cena in versi di caviale d'
altritempi, un assaggio straripato che tanto risicava in cerchi stinti.
Era solo un assaggio, ma prometteva bene. Lo aveva incontrato nel garage Trafori d'Urgenza, del suo amico Din Marmitta, un mezzo fantasy che non muore, dal cuore molle, che la faceva schiattare coi suoi spuntini acidi ai pochi clienti di passaggio. 





Veronica 
ed Al



Al o Il quando sostava in vena, era un rifatto della quarta generazione, quella degli scarti subatomici delineari, mascella al silicone, carrozzeria anteriore al plasma, occhi computerizzati, di vetro tiffany, una rarità antica, da collezionista fetish, subito scambiati, al Self Dierector Day con una tanica di splin, gli ultimi ritrovati molecolari dei motori solari, ottimo combustibile per le nuove slidecars. Una vera passione per Al, più delle donne, che del resto, non lo demagnetizzavano nemmeno. Ma lui aveva in serbo qualche sorpresa, una dandy coccolosa che faceva colpo persino sulla Mozzafiato, Veronica, la rifrangente colonna vertebrale in assetto spinto. L'aveva vista sulle copertine, dietro la città antica, la Mezzacollina, in ologrammi a puntate proiettati sulla nebbia.
Dicevano fosse la fidanzata di Vic Resort, One Member del Post Center Village, l'immenso rifugio multimediatico per navigatori multiplanetari. Ma Al, non sapeva credere ai trush rimaneggiati delle operazioni super allusive e preferiva attendere.
Din Marmitta, come al solito, interruppe le sue divagazioni sinaptiche, rischiando di cortocircuitarle nei sentieri mnemonici a particelle: Veronica lo aspettava a casa, nel suo stage di prima grandezza. Doveva solo ricordarsi della scorta di energia che aveva reso streep al doppio malto, una vera prelibatezza di cui la Mozzafiato non riusciva a farne a meno. 



Mozzafiato si tiene in forma
Veronica, in discesa dal corrimano, per il consueto flet and gym, era disgustata al pensiero di rivedere Al, Il Buzz della Carioca, ma aveva bisogno dello streep al doppio malto e, per affari lesti, Al era imbattibile. La Mozzafiato voleva convincere il suo amato Vic a caracollarle una page on line, una riflessione coronarica, da tempo consumata, una specie di amoroso stand by dai microchip e vi assicuro, una fatica immane, persino per lei "in attrezzo spinto". 

Al arrivò caracollando, col ghigno fluorescente di schiuma al doppio malto, se ne era fatto fuori un litro. Le spinse la carrozzeria contro il muro che puzzava come una marmitta di scarico del 2015, pensando di averla a pugno, ma Veronica, vissuta nei quartieri di terza generazione, tra i mutanti, si scansò di lato, sfiorando il fetido con un gancio, poi affondò la punta del suo stivale di metallo nel basso ventre del malcapitato che si abbattè sul pavimento. Al accennava farneticando la resa sul tappeto, mano a tamburo, implorando adesso.
 A Mozzafiato sarebbe bastato poco per farlo fuori, e ci provava pure un certo gusto, ma le serviva l'allenamento che il Buzz le offriva a poco prezzo. Finito il match, prese lo streep e si volatilizzò oltre la porta, lo travasò nei concentrati di narcosine, che teneva come scorta e si accinse alla serata, in autonomia binaria, oltre i cancelli. 





Il finale

Fuori l'aspettava, smilzo d'occasione, Din Marmitta, rivestito di pochi grumi d'energia, un prezzo sporco per chiudere occhi all'amicizia con una pistola a fumo, residuato bellico post evoluzione, scambiato in genesi, con un treppiedi di mutante. Una bomba chimica d'occasione, fabbricata a Soke, Primo anello della Catena , una specie di fornace, frequentata dai Crime, i Guardian Spie.
Din l'agente speciale aveva paura d'essere scoperto a rimaneggiare grillet e Veronica era andata troppo vicino a scoprire fonti, tracce in sospensione di lui e Vic, intenti a traffici di chips, aveva il fiuto di un segugio al transito di rarefazioni.
 Veronica, in aerobica tigrata, fendeva spazi con brevi salti in accelerata, senza distrazioni coltivava idee d'appartenenza semicolata al disastro innaturale, sapeva che avrebbe dovuto scegliere tra il cuore e il suo fiuto di travestito sbirro multimediale. I sensi all'erta di un addestramento, rivelavano la sua natura di ragazza cresciuta in isolamento antiglicemico. Sentì l'odore spesso della muffa acida, il multiaroma frequenziale le restituì l'immagine di Din e di un ordigno micidiale, una pistola a fumo. Ne conosceva l'uso per averne costruita una quando era piccola, sotto l'occhio vigile di sua madre, un generale di quarta era, destinata al trans di mutazione satellitare. Ne riconosceva persino il suono, quel sibilo di freccia che precede il lampo e il buio esistenziale. Roteò su se stessa e spicco il salto prima di essere raggiunta dalla scarica, poi colpì a sua volta e uccise l'avversario con tre unghie conficcate nella giugulare.
 Effetto macabro ma le aveva prese nuove al standard vacuale, uno shop d'immedesimazione multirazza, unghie di pantera morfologicamente mutuata da Horror Vacui.
Quando s'accorse era Din Marmitta pianse, frugò il frequenziometro digitale e ottenne il nome del suo nemico. Era lo stesso che avrebbe voluto amare. Restituendo esodi alla notte, girò le spalle lucidò l'anca della carrozzeria e salì sul primo glenvit a testoruote, diretta a casa. Domani, forse. 

2 commenti:

Cernia ha detto...

Questo brano qui invece non riesco a capirlo. Se ci penso per un istante, sarebbe intraducibile in un'altra lingua. Perchè, anche qui, si gioca molto di più sul fronte linguistico, con i suoi strumenti tirati all'estremo.
Però mi lascia freddo. Non lo seguo. (Io).

ecatmel ha detto...

Come avevo scritto nella prefazione è un esperimento linguistico, peraltro abbastanza riproducibile, (potrei riscriverla molto bene in italiano) che inventa assonanze di altre lingue, vedi l'inglese, per suggerire storie e situazioni.
Anche qui, è una questione di gusti, nel contesto in cui l'ho presentata la prima volta è stata definita particolarmente innovativa, ironica e con molto sense of humour.
Ma rispetto e capisco il tuo punto di vista.
Grazie del tuo intervento.
Ciprea